Thursday, March 23, 2017

Santa Bibiana

Non si dorme bene fra le scosse di assestamento delle riunioni ASN, semplicemente ci sono troppe scorie da smaltire, troppa stanchezza e ansia da "do the right thing" che riaffiorano per ore.  credo che uno dei miei modi di reagire e di mettere in pratica strategie di resistenza umana sia concedermi breccie nella routine di 10-12 ore di meeting, anche a corso di sovraccaricare i ritagli di tempo che ti restano a margine di giorni veramente campali.

"Rita, che cosa c'è di bello a Roma vicino alla Sapienza?" avevo chiesto a cena.  non ci traggo grandi spunti, Villa Torlonia, che pure mi ricorda qualcosa, e poco altro.  mi sveglio troppo presto, danno collaterale frequente in questo segmento di vita, e sono folgorato dall'idea che Santa Bibiana non può essere molto lontana dal Globus Hotel.  rapido controllo su google maps, 1.8 km, 23 minuti, a questo livello di adrenalina mi pare acqua fresca. la strada è lineare e memorizzo il percorso che mi farà percorrere via Tiburtina, costeggiando il cimitero monumentale del Verano, e infilare il sottopasso oltrepassando i binari di Termini.

Piazzale del Verano
Buone chance per la colazione a "C'era una volta il caffè" in Via Tiburtina

doccia e partenza alle 6.45 confidando sul fatto che le chiese aprono presto per accogliere anime semplici e bonorive.  Bibiana, chi sei? e perché vengo a vedere questa chiesa un po' spersa lungo i binari?  la mia Bibi era una martire cristiana, uccisa nel 362 a 15 anni, legata a una colonna e flagellata.  tempi duri, tempi cupi, tempi all'incontrario in cui i martiri si facevano ammazzare per professare una fede e non facevano stragi di altri in nome di un Dio capito a rovescio.

cammino svelto e scatto qualche foto dell'ingresso del cimitero del verano, che visiterò la prossima volta, percorro via Tiburtina immaginando che la stazione omonima sia dal lato opposto, vedo il bar "c'era una volta il caffè" e, guardando i cabaret di brioches, mi dico che è solo questione di tempo.  chiedo a un gruppo di fruttivendoli che stanno costruendo pile di carciofi dove sia Santa Bibiana.  sono malesi o bengalesi o magrebini, chissà, ma fa lo stesso: non hanno la minima idea e sfidando la paura di non ricordare giusto, continuo fiducioso nella mappa che sta nella mia mente fino a quando trionfante arrivo al sottopasso di piazzale Tiburtino.  guardo la città un po' sfatta, con costruzioni consumate e una torre serbatoio con scala a tortiglione, mi infilo nel tunnel scavato sotto le decine di binari di Termini, sono contento perché so che sono praticamente arrivato e mi godo pure il frastuono di un budello pieno di traffico.  sbuco dall'altra parte su Via Giolitti, non è una strada chic, fatico ad attraversare, incrocio un'anziana e chiedo anche a lei dove sia Santa Bibiana.

Guardando bene si vede l'abside ella chiesa la cui entrata è all'altezza dell'abete
La "vista" della facciata da Via Giolitti

In realtà ce l'ho veramente davanti agli occhi ma la chiesa è coperta e semi-invisibile, quasi azzannata dai tentacoli della stazione, dai binari del tram e da un complesso industriale con un'altra torre serbatoio.  è una chiesa piccola, difesa da una cancellata che, sono le 7.03, è ancora chiusa.  ma aprono alle 7.30 per dire messa alle 8 e decido di tornare sui miei sottopassi andando a fare colazione a "c'era una volta il caffè".  ne vale la pena: cappuccino con crema e cornetto piccolo alla crema pasticciera, 1 euro e 60 e tanto di cappello.  avant'n'andré e alle 7.25 sono di nuovo in chiesa che, minuta e controluce, è già aperta.  dentro ci sono un signore che legge le lodi seduto a metà navata e un prete anziano che cammina avanti e indietro recitando il salterio.  sono là per vedere la statua del Bernini, scolpita nel 1624 quando Gianlorenzo aveva 26 anni.  discretamente mi guardo il ritratto della Bibi da destra, genuflessione, da sinistra.  poi mi siedo, recito vari Padrenostro e sguaino il mio Magnificat, senza nemmeno ricordarmi tutte le parole, né del primo né del secondo alla prima volta.  la statua, come succede spesso, la si vede meglio in fotografia o negli strepitosi racconti di Montanari, dal vivo la luce posteriore aumenta il contrasto e i dettagli del marmo si perdono nella distanza.  si vede una giovane potente, con un panneggio che mi ricorda quello che sarà leggendario nella Santa Teresa, appoggiata alla colonna e con la palma del martirio in mano.  penso a varie cose: che sono in un posto che è là da 1700 anni o giù di lì, intitolato a una donna che era ancora bambina; che è un posto surreale divorato da una modernità ferroviaria che lo deturpa ma non per questo lo annulla; che è il punto d'inizio della carriera di un genio; e, infine, che mi consente di pensare al mio amore, a Roma, all'alba, lontani ma vicini, dopo che la dolce e Montanariana fascinazione che l'ha presa ha contagiato anche me!

La statua di Bernini si vede in fondo

puè, è ora di girare i tacchi e di ripercorrere la strada a ritroso.  facendolo, mi rendo conto che sono a S Lorenzo, il quartiere popolare cantato da De Gregori, "cadevano le bombe come neve / il 19 luglio a San Lorenzo", colpito nel 1943 da un bombardamento alleato che accelerò la fine del fascismo e lasciò solo fra queste case 1500 morti e 4000 feriti.

ho i minuti contati, pesto sulle gambe ancora indurite da 108 saluti al sole, arrivo al Globus alle 7.50 giusto in tempo per fare a tutta velocità la valigia e scendere a fare il checkout. l'appuntamento coi commissari è alle 8.00 e arrivo per primo al bancone.  sono carico a pallettoni, ripieno della vista e, forse, ancor di più dell'idea di aver solcato quest'ennesima millenaria frangia di Roma e aver reso omaggio all'opera di Bernini e a questa quindicenne di marmo e sangue e coraggio.

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