Saturday, July 09, 2016

Interessi: sottozero, "non sia mai" o 12%?

Per me e per tutti gli anni passano senza requie ma i miei studenti "restano" sempre ventenni (poco più, poco meno a seconda dei casi). È bellissimo poter attingere a questa perenne riserva di energia e curiosità ma mi rendo conto che quello che pare normale alla soglia dei 50 anni non collima necessariamente con quello che sentono e hanno sperimentato i giovani. Per farvi un esempio, di recente ho menzionato Steve jobs in un saluto rivolto a dei diciassettenni, dando per scontato che fosse per loro la stessa figura leggendaria che è per me. Poi mi hanno fatto notare che è morto 5 anni fa, quando chi ascoltava aveva 12 anni: orpo, non è chiaro che sappiano chi è o che gli attribuiscano quel ruolo di innovatore estremo e guru senza macchia e senza paura che tendo, con qualche luce e ombra, a riconoscergli io.

Mi soffermo su una cosa un po' più tecnica e che pure mostra l'enorme (?) differenza che c'è fra la mia e la loro generazione. Pensate per un attimo ai tassi d'interesse, la remunerazione che normalmente ti dovrebbero dare in cambio dei  risparmi (non fate i difficili, so che ci sono milioni di tassi, a seconda dello strumento finanziario, del rischio...): quale sarebbe il tasso giusto? Se la domanda vi pare mal posta, pace e bene! Lo so anche io ma i miei studenti mi sorprendono perché pensano che sia normale che i tassi siano prossimi a zero poiché nella vita che loro ricordano non hanno visto che questo. As esempio, in una recente discussione di tesi, hanno sostenuto che incassare il 2.63% l'anno non è male mentre a me, istintivamente, fa attorcigliare le budella: ti pare che io ti do i miei soldi per una miseria simile? 2.63%? Ma se non mi prendo nemmeno uno spritz con gli interessi di fine anno! (ok, se lo volete sapere, a me pare sensato che un bond, deposito o simili paghi dal 5% al 7% e ovviamente di più in presenza di  rischio paese, emittente, valutario... è econometria da quattro schei di quel che sento dentro e non sto minimizzando nessuna verosimiglianza).

In realtà, gli studenti hanno ragione. Anzi, più che ragione! Il Sole 24 Ore documenta da tempo che un'enorme parte dei titoli di stato europei hanno rendimenti negativi: devi pagare l'emittente per lasciargli i soldi per 3, 5 o 10 anni. È vero, non ci posso fare nulla, ma a me vien solo da dire "siete fuori di testa!"
Meno male (!?) che in Italia solo il 22% dei titoli... è da delirio.
Mi sono riproposto di fare qualcosa per convincere gli studenti che pochi anni fa le cose erano diverse ma prima di fornire un mirabolante esempio, ricordo un'altra cosa interessante. In effetti per secoli l'interesse giusto era zero. Punto. Nessun interesse! Banalizzando un po', gli interessi erano sterco del demonio, somme che crescevano senza limiti e senza misura, sfidando la grandezza del padreterno, sulle spalle dei soldi veri e di chi se li guadagnava col sudore della fronte. Ergo, l'uomo devoto non li voleva gli interessi, peccato mortale, o provava a fare affari coi nostri fratelli maggiori per sgravarsi la coscienza... Pensavo che questo approccio fosse superato ma poi leggo questa grande storia su NPR. Raccontano con dovizia di dettagli che alcuni cittadini americani e islamici osservanti richiedono alla loro banca di stare alla larga dagli interessi. Nel pezzo si dice che in un certo senso è impossibile persino fare un mutuo con questi clienti: un mutuo, anche sulla prima casa, funziona intrinsecamente perché paghi rate che includono interessi, a me pareva perfettamente ok, ma a pensarci bene si capisce che è proibito e che non si può... Certo, resta il problema di farsi una casa e ci sono soluzioni (non semplici) rispettose della volontà divina. Non dovreste pensare che sia una stranezza islamica, se guardate le cose un po' sub specie aeternitatis, anche noi cristiani eravamo uguali!

Ma allora perché penso (cioè sento, ce l'ho inscritto nel DNA) che il tasso giusto sia molto più alto? Ovviamente, basterebbe guardarsi le serie storiche o scaricare i dati. Provo però ad essere convincente alla vecchia maniera, mostrandovi un vero buono postale fruttifero emesso nel 1997. Si tratta più o meno della data di nascita di alcuni dei miei studenti: se la mamma avesse regalto al neonato il buono che vedete sotto, questo diciannovenne incasserebbe ormai da 5 anni il 9%.

Scaricate l'immagine e ingranditela: la qualità dovrebbe essere tale da apprezzare i dettagli e il timbro.

Trovo questo residuato storico interessante per vari motivi:
  • in un'epoca di smaterializzazione, vedere un bel pezzo di carta con scritto "lire centomila" fa tenerezza;
  • mostra che esistono investimenti a lunga gittata (20 anni), è un sano antidoto alla miopia da breve termine che ci attanaglia;
  • gli interessi sono specificati in un timbro, sembra fantascienza: c'è scritto dal primo al quinto anno 5.5%; dal sesto al decimo 6.5% e così via per giungere al 9% dal sedicesimo al ventesimo anno;
  • in senso relativo, non sono bruscolini: quel buono dal valore facciale di circa 50 euro oggi vale circa 160 euro. 
  • ho visto analoghi buoni, emessi qualche anno prima del 1997, con tassi che arrivano al 12% composto negli ultimi 5 anni, con la clausola che dal 21esimo al 30esimo il tasso rimaneva al 12 (ma in capitalizzazione semplice).
In questo tempo tristo e anoressico da rendimenti nulli o negativi, prendere il 9 (o il 12%) pare un sogno che consentirebbe pure di mettere da parte un soldino per la vecchiaia e la sospirata pensione. E ai miei studenti ricordo con affetto che tutto ciò accadeva meno di vent'anni fa e che... a volte ritornano!