Wednesday, August 05, 2015

Resistere, resistere, resistere

Tanto per iniziare, mi ricordo che il titolo andrebbe applicato a questo post che forse non era da scrivere.  Non ho le idee chiare né forse è possibile averle su un tema come questo.  Ma sono numerosi i casi in cui le idee si affinano se provi a dipanarle e qualche passaggio pur fumoso e indistinto magari aiuta a snebbiarsi.

Nell'anno di grazia 2015 scoccano i 100 anni dall'inizio della grande guerra e i 70 dalla fine del secondo conflitto mondiale.  Una cosa, forse, non c'entra con l'altra ma vivo in una regione che ha lo strambo privilegio di avere sperimentato fatti ed eventi non marginali di ambedue i periodi, trasudiamo di "della battaglia", tanto per dare un'idea, e monti, valli e pedemontane rimbombano di storie, lapidi, fantasmi e ricordi; il Piave dove "non passa lo straniero" scorre in posti vicini a mezza della mia famiglia; il massiccio del Grappa, quello della Brigata Martiri, dalle mie parti non lo vedi solo quando piove o c'è foschia da afa prolungata.  È la mia montagna, il posto dove vado, solo là, quando ho voglia di camminare tre ore.  Da tempo pensavo che mi sarebbe piaciuto capirci di più e due casi serendipitosi mi hanno dato l'occasione di mettere giù due pensieri per i quattro lettori.  Il primo è lo spumeggiante pezzo di Wu Ming 1, "Cent'anni a nordest'", da invito a cena! Ho visto che ora ci ha cavato un libro ma a me sono bastati e avanzati i tre interventi su "Internazionale" per liberare microsismi di curiosità e desiderio di sintesi.  Poi c'è stato Aldo Cazzullo e la "Biblioteca della resistenza" sul Corriere.  È già sparita dalle edicole (perché?), ma la ritrovate su http://www.corriere.it/iniziative/bibliotecadellaresistenza/piano.html.  Io mi sono preso Fenoglio, Vittorini, Calvino, Meneghello, Bocca e Tobino.


Come vedete, ho fatto una scelta e ho tralasciato la prima guerra mondiale, pazienza.  Per oggi ragiono, parola grossa, su quel che è stata la Resistenza, con la "R" maiuscola, per quel che ho letto in questi 6 libri.  Scrivo di questa cosa su cui si fonda la nostra repubblica, su cui sono vagamente ancorate le mie radici cultural-politiche e su cui si accapigliano a distanza di 7 decenni ad ogni 25 Aprile proprio quelli che non c'erano e forse ne han letto molto meno di libri.  Stop.  Niente cazzate sui libri e sulla realtà, ormai le memorie sono svaporate, andate con quelli che sono partiti per la montagna e con quelli (pochi) che hanno ammesso di essersi vestiti di nero.  Non ce ne sono più, ci restano solo i libri e la consapevolezza che gli scrittori bravi sono quelli col dono di dirti chi sei meglio di quel che hai capito da solo.


Fenoglio mi racconta una storia bellissima e fou di questo partigiano eroso dal bisogno di sapere se la sua bella l'ha tradito.  Ho pensato che non gli bastava il casino che c'era intorno, in un Piemonte dove si sono massacrati cupamente, ci voleva pure uno sbrego nel cuore.  Che cosa ne può venire fuori se non una sofferenza indicibile e il tentativo riuscito di farsi ammazzare, non si sa bene se per l'Italia che verrà o per il dubbio di avere perso l'amore della vita?  Per certi versi le due cose mi sembrano anche metaforicamente vicine: deve egualmente aver poco senso amare Fulvia in un paese violentato dai fascisti o vivere in un Italia finalmente libera senza di lei...

Del libro mi sono rimasti la bellezza della scrittura, la disperazione tesa in cui vivevano tutti, la violenza affiorante nell'uso di fucilare i prigionieri da ambo le parti se entro un giorno non si trovava un compagno con cui fare uno scambio.  Lo ripeto: l'unico modo in cui un fascista o partigiano catturato dall'altra parte durava più di 24 ore era quando veniva scambiato con un altro tizio che, simmetricamente, era stato catturato dagli altri.  A meno di una botta di culo (ma veloce!), pallottola nella nuca. Dura vendetta sarà del partigian, ormai sicura è la dura sorte, del fascista vile e traditor.  Punto.

Lo stesso delirio di sofferenza personale, stavolta intarsiata di lotta urbana milanese e gappista, è in Vittorini.  Con molto rispetto: due maroni di libro, ho detto "molto rispetto" ma non so che farci.  Ho faticato a sopportare le pagine, mi toccava leggere veloce le parti di asfissiante agonia umana, fra cani che sbranano i prigionieri, amori complicati da morire, voglia di suicidarsi.  Poche lame di luce e tanta sofferenza in quelli che la vulgata vuole si siano battuti (radiosi?)  per la nostra libertà e il sol dell'avvenir.  Ho quasi pensato che gli storici hanno fatto bene a stendere un pietoso velo su tanta assassina disumanità, da una parte e dall'altra: non si può, forse non si deve, continuare ad essere precisi su certe cose.  È l'unico modo, diluire e sfocare, in cui almeno si coltiva la speranza che la brace si spenga sotto la cenere, col tempo e gli anni.  Lo scrivo ma non lo penso del tutto: mezzo cuore e mezzo cervello pensano che a stendere veli si peggiorano solamente le cose, capire e conoscere sono forse le uniche dolorose vie per chiudere i conti, dato che il tempo chiude solo le ferite purulente a furia di generazioni (e neanche sempre).

Calvino ha il dono della parola e mi sono gustato l'insensatezza di vedere le cose con gli occhi del Pin, il bambino cresciuto in fretta che ci svela quanto noi grandi siamo sia idioti che condannati a fare quel che "serviva".

Meneghello finalmente mi ha elevato lo spirito raccontando con garbo e poesia la "mia" resistenza, nel bellunese, sull'altipiano di Asiago e a Padova, con la mia lingua mentale e brandelli di dialetto.  Cosa ci ho capito?  Poco, ma era il poco giusto, quello in cui ethos non si sa che cosa vuol dire perché non si può tradurre in Veneto.  Quel poco forse è tutto quel che c'è da capire: a volte due partigiani e due fascisti non si sparavano quando s'incontravano in un sentiero, forse fingendo di essere coppie di amici che vanno a funghi (con lo Sten a tracolla?  Magari andavano a osei...)  Nel libro manca la violenza esibita e diretta e anche l'agonia interna delle persone.  O meglio, te la puoi immaginare se leggi in obliquo che c'erano rastrellamenti un mese si e uno no, con gli Ucraini "specialisti in partigiani" (e gran figli delle loro grandi madri, ndr); se pensi al viale dei Martiri di Bassano, un "bandito" appeso per ogni albero; o se ripercorri l'episodio della Valsugana in cui i partigiani hanno impiccato a dei ganci due tedeschi nello stesso palo dove due giorni prima gli altri avevano lasciato penzolare due ribelli.  La simbologia conta eccome, anche dove l'ethos non attacca per niente.

I dettagli non ci sono mai e il testo è intriso dell'autoironia di questo piccolo maestro andato in montagna dove ha combattuto, si è salvato e se l'è presa fissa sui denti.  Democristiani (da noi) e comunisti (altrove) erano molto meglio organizzati di quelle anime belle di azionisti.  A fine guerra, gli altri li hanno ciucciati e sputati come ossi.  Ecco, questa è una domanda che mi è rimasta?  Perché la parte migliore della resistenza ha fatto quella fine là mentre gli altri si sono presi parlamento, paese e onori?  Non lo so proprio ed è una delle cose più dolorose, dato che se resistere in quel modo aveva un senso, allora sarebbe dovuta andare diversamente alla fine.  Lo stesso schiaffo ti arriva sul muso con Tobino che racconta la storia di tre amici diversi e il Togliatti lapidario di: "Anche un cavallo di razza può avere due pidocchi sulla criniera'".  Turri (Aldo Cucchi) ammazza quasi 2000 persone a Bologna col settimo GAP (saranno anche stati fasci ma è un carnaio...) e poi si prende del pidocchio per aver detto giustamente al capo che era tutto cueo e braga con Stalin.  Bella fine, proprio bella.

"Partigiani della montagna" di Giorgio Bocca è una cronaca secca della resistenza nel cuneese, al confine con la Francia.  Bocca non la manda a dire, non li chiama nemmeno fascisti o repubblichini: basta "briganti neri" a fare capire che secondo lui i morti sono, sì, morti da ambo le parti ma conta ciò che han fatto da vivi.  Gli uni contro e gli altri insieme ai demoni aizzati da Hitler.  In questi giorni, per altri motivi, ho avuto a che fare con la frase di Forrest Gump: "Stupid is who stupid does", che più o meno significa "sei stupido se ti comporti da stupido".  Potrei sottilizzare e dire che uno può anche fare lo stupido senza esserlo ma nel contesto di questo post sarebbero pippe cerebrali.  Sei un assassino se ti comporti come un'assassino?  Sparare alla nuca a un tizio in camicia nera che cammina sotto un portico di Bologna o appendere a un gancio un tedesco a caso recuperato in uno Strigno a caso cos'è realmente?  Ed è diverso da fare sbranare un antifascista da un cane rabbioso o impiccarlo con una gamba in cancrena dopo settimane di torture?  Dove sta la differenza fra essere un assassino e comportarsi come tale?  Non ho gran risposte né sono in grado di dare gran fondamento alle mie tesi, con o senza sei libri dietro di me.  Vedo la nemesi beffarda: "Prof., ho studiato tanto ma so pochino..."

Forse "resistere" significa opporsi al male, evidentemente lo si può fare con onore o rasentando l'infamia.  Evidentemente lo si può fare sempre, nelle piccole come nelle grandi cose.  Ho concluso, vale per i prossimi tre minuti ma non è poco, che opporsi a un mare di fango raramente lascia immacolata la giacca di lino bianca e il Panama indossati dal ribelle chic.  È molto più facile uscirne invece lordi di fango, schizzi e sangue.

Dopo questo frasone è meglio avviarsi verso la fine del post più sgangherato che il blog ricordi (ma da quando faccio lo storico, sociologo e il politico?  Torna ai tuoi conti, fa el bravo...)  Lo faccio coi ringraziamenti a un paio di persone:

  • ad Alessandro per avermi convinto a leggere Pansa, non c'è Bocca senza Pansa, no?  Lo hai definito "onesto intellettualmente" mentre io ricordavo solo carriolate di insulti feroci da parte dei "miei" critici di sinistra.  L'ho letto, forse bisogna leggerlo, forse non cambia nulla o forse si.  Sono onorato di poterne discutere con te;
  •  a Papà per avermi raccontato di Primo Visentin "Masaccio", comandante della "Martiri del Grappa", della sua forza interiore e del suo rigore senza macchia e senza paura, delle sue burle travestito da suora, del ponte di Bassano che salta in aria, delle sue immersioni nel luamaro per fregare i cani da fiuto dei tedeschi.  Grazie anche per avermi da sempre detto che non lo hanno ammazzato i Tedeschi con un tiro che avrebbe del miracoloso dal municipio di Loria ma che ci ha rimesso la vita il 29 Aprile, ben oltre i supplementari, colpito alle spalle da uno che aveva fatto troppe sporcherie con la camicia dei partigiani e che sapeva bene che avrebbe fatto i conti col comandante.  Il resto a un altro post...
  • grazie Luciana, per avermi raccontato che a Lentiai i partigiani li indicavano a dito (anzi con due dita) come banditi, gente che faceva i prepotenti col fucile e affamava i poveri cani.  Nonno Bortolo, veterano artificiere d'Africa, quasi non rivolse più la parola al fratello perché era andà in montagna.  Se la verità sta in qualche via di mezzo quello che dici tu (e Pansa) bilancia i molti casi in cui la gente i partigiani ha protetti come figli e quasi eletti a eroi; 
  • A Francesco Saverio Borrelli,  cui debbo il titolo del post.  È un esempio di come si può stare con la schiena dritta e di come, in questo paese, ci sia sempre il bisogno di opporsi ai ducetti di turno.


    Beppe Fenoglio, "Una questione privata"
    Elio Vittorini, "Uomini e no"
    Italo Calvino, "Il sentiero dei nidi di ragno"
    Mario Tobino, "Tre amici"
    Giorgio Bocca,"Partigiani della montagna"
    Luigi Meneghello, "I piccoli maestri"
    I lettori attenti avranno notato che i conti non li faccio mica tanto bene: intanto i libri sono 7 con l'aggiunta di Giampaolo Pansa, "La sporca guerra dei partigiani e dei fascisti". Poi di persone ne ringrazio 4 e non 2, meglio così.
    In un certo senso tutto è iniziato con Wu Ming 1 e lo strepitoso "Cent'anni a nordest" in cui si parla di tante cose. Mi sono chiesto chi sono i Veneti (cioè chi sono io!) e se Cecco Beppe fosse fra i miei miti:
        Me nono Cecco Beppe faceva l'aviatore
        Mancanza di benzina pisciava nel motore
        Mancanza di bombette tirava scoreggette
        Mancanza di siluri tirava stronzi duri
    Sono filastrocche per scandalizzare i bambini ma, no, Cecco Beppe non era e non è nel cuore di tutti noi Veneti!

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