Thursday, August 14, 2014

Esse-esse a chi?

Oggi partiamo per andare a Rimini a recuperare Lorenzo, attraversando quel profondo nord padano sempre uguale a se stesso eppure sempre diverso negli accenti, negli spazi e nei dettagli. Da noi nuvoloni neri non preannunciano nulla di buono ma in Romagna dovremmo trovare più di 30 gradi, sole assassino e un'inondazione di luce lattiginosa e abbagliante. Come spesso accade, le nostre traversate estive passano per Ravenna, mettendo come tappa intermedia i pescheti di Pierluigi a Godo di Russi (nettarine Big Top, buone e spavalde, e pesche Maria Bianca, cultivar forse d'antan ma sempre degno di rispetto). Per andare a Ravenna, ci infiliamo solitamente nel simpatico budello della esse-esse 309, sua maestà la Romea: dopo un po' ci si abitua a quel mondo viaggiante, infestato di autovelox, camion, paesi e lidi. Lenta lenta, la 309 ti porta giù in tre orette, con la successione infinita di cartelli, 50-70-90-50-60-90, "controllo elettronico della velocità" a decine (ma perché non controllate mai vostra sorella?) Si rischiano sempre i crampi alle dita delle mani, a furia di armeggiare sul limitatore di velocità, o del piede destro, perennemente contratto a mezz'asta e mai pigiato veramente sull'acceleratore. La varia umanità della Romea ci accompagna da anni e ormai non ci lamentiamo nemmeno troppo, ogni cosa necessita il suo tempo, è un'esperienza zen prendere atto che da (Treviso-)Mestre a Ravenna serve quel che serve (a meno di rischiare il frontale o uno o più megamulte).
Però oggi decidiamo d'innovare: autostrada fino a Ferrara sud e poi esse-esse 16, Adriatica, per vedere che effetto fa un'altra strada statale. Elena ha tessuto le lodi del percorso alternativo, dicendo che è più rapido, richiede meno ascetismo della Romea ed evita i fenomenali ingorghi della Bologna-Ancona autostradale. Visto che una tradizione è abbandonata, tanto vale andare fino in fondo: oggi proviamo anche, per la prima volta, il navigatore. Nella fattispecie si tratta dell'iphone 4c di Cesira: ok, non è l'ultimo modello ma non ci tange, scateniamo l'app e dall'uscita di ferrara la voce fra il suadente e il dirigente della tipa mi dice cose come "fra 600 metri tieni la destra sulla esse-esse 16" e simili. Le indicazioni sono chiare, non troppo numerose e basate sul concetto storicamente inquietante di esse-esse. Alla fine proprio quest'assordante ripetizione mi fa venire l'idea un po' malsana di un post, nonostante di tanto in tanto qualche esse-pi faccia capolino fra i comandi, rischiando di spezzare un incantesimo.
Bella stradella, la esse-esse 16 che in 1000 km tondi tondi congiunge Padova con Otranto. Dal punto in cui la pigliamo noi, diretti a Ravenna, inizia con qualche decina di km di superstrada ultralusso e ultralarga, sempre 90 all'ora, bombardata da un sole via via sempre più feroce. Davanti a noi, una golf cabrio nera, d'antan pure lei se è lo stesso modello con cui Cesira e Friederike solcavano le colline di Farra un po' d'annetti fa. Le due tipe odierne non sono assatanate, non hanno la fretta e forse nemmeno i cavalli motore che sulle statali ti schiantano, e sorpassano i camion solo in estrema sicurezza (cioè quando se non lo fai un giretto dall'analista aiuterebbe). In poche parole, sono un perfetto punti di riferimento e così Thelma e Luise ci accompagneranno per un bel pezzo. Poi la superstrada finisce e la esse-esse 16 avvizzisce fino a sembrare una esse-ci in alcuni tratti: curve, stop, centri, semafori... Ci pare una stranezza ma ormai siamo in ballo e ci godiamo anche questo spezzone di Romagna un po' consumata e piena di buche, pallido ricordo di quella regione trainante ai tempi di Gardini. Cesira dice che le pare di passare per i paesi dell'Ungheria che, detto da lei, non è che sia un gran complimento! poi, spontaneamente, aggiusta il tiro: "quasi-Ungheria". Mi pare un filin più realistico e giù verso l'obbiettivo, passando per paesi con insegne suggestive come "Poldo affittacamere" e "Piadina superstar". Alla fine raggiungiamo Godo in due ore e trenta nette e concludiamo, dati alla mano, che ci abbiamo messo poco: la combinazione di autostrada fino a Ferrara a 130, superstrada a 90 e esse-ci a 50 pur sulla esse-esse, ha battuto nettamente la Romea.
Facciamo visti a Pierluigi e conosciamo l'ultima nata Giulia, 5 mesi di simpatia e gridolin. Ci congediamo dopo la piadina, gloria locale che ci cattura inevitabilmente da quelle parti.
Si riparte sotto la canicola e arriviamo infine a Rimini, località Torre-Pedrera, parcheggiando negli spazi della clinica esse-esse (no, stavolta non vuol dire strada statale né indica dove si curano quelli che stanno troppo al volante, ma le iniziali sono le stesse). Come sempre quando entro in quel posto, ripenso al quel galantuomo di Padoa-Schioppa e alla sua icastica frase: "Le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute", mucchi di esse-esse che si abbinano pure al post. Lo penso veramente, Padoa-Schioppa ha ragione, basta farsi un giro in una struttura riabilitativa marina per vedere a cosa possono servire i soldi che ci tolgono ogni minuto (si può fare meglio sempre, ma dopo che hai tagliato a sangue ricucire è duro o impossibile, vedi Ospedale al Mare al Lido di Venezia e Ospizio Marino di Grado, tanto per fare due esempi che conosco). Spero che esse-esse continui a offrire servizi e ad accogliere chi, dritto o storto, su due o tre gambe, con o senza ruote, ha bisogno di cure. È un posto pregno della sua surrealtà, dove incontri anche sorrisi inaspettati oltre che spessi strati di sofferenza e in cui la colonna sonora abbina sobriamente i classici sempreverdi di Raul Casadei a sprazzi di autentica novità targati Julio Iglesias (per favore poca ironia: i miei unici idoli gli Stones erano sul palco ben prima di Julio). Raccogliamo le nostre cose, facciamo gli scatoloni, salutiamo e carichiamo il portabagagli della Peugeot. Paghiamo 1 euro di parcheggio e alle 16.35 siamo di nuovo in macchina, fa un bel freschino direbbe il Gualazzi a 35 C, ma si parte con una scrollata di spalle e un chisséne. Basta esse-esse, ripieghiamo su un'altra "adriatica", la A14 Bologna-Ancona dove il limitatore sta a 135 dall'inizio fino a Padova.
L'ultima esse-esse ci è da sempre familiare e i tanti nomi della statale del Santo dicono quanto ci abbiano lavorato (tecnicamente è la ex esse-esse 307 ma noi ``sfrecciamo'' sulla SS 307 var, per anni rimasta misteriosa quanto la Treviso-mare). L'esse-esse che ci porta fin quasi a Riese è in realtà ora in carico a Veneto Strade sotto il nome di esse-erre 308. È finita, fatta anche questa!

Saturday, June 28, 2014

S Sebastian Donostia

Ci sono persone che riescono in pochi minuti a tagliare qualsiasi ponte, con le banalità che dicono, con atteggiamenti da superstar, con commenti incauti o semplicemente idioti.  ce ne sono vari con cui quasi mi vanto di aver chiuso i rapporti per decenni come conseguenza di un inizio devastante.

ma le città sono diverse e credo serva portare parecchia pazienza, prolungando il periodo d'osservazione e provando a esplorare orizzonti con pazienza.  ieri ero giunto a S Sebastian bollito a puntino dopo varie ore di viaggio, nuvole basse e veloci, caldo afoso.  se aggiungo che non bevevo e mangiavo da ore, il che mi rende sempre feroce, e che mi trascinavo pure la valigia su terreno urbano sconnesso, beh, perfino la famosa spiaggia della concha mi era sembrata una piccola striscia di sabbia insignificante.



The day after mi metto in cammino, nomen omen qui a S Sebastian (lo vedrete dopo), e parto colazionato alle 9.00 del mattino ripercorrendo il lungo mare di Ondarreta e la Concha.  beh, nel fresco mattutino e con un po' di sole è un'altra storia.  si dev'essere impegnata anche la marea che se ne sta bassa bassa lasciando metri di spiaggia bianca a formare una mezzaluna mozzafiato.  decido di andare nella città vecchia e vedo le guglie e le asprezze architettoniche che non aspetti in un Spagna che nel mio cuore sembra sempre e solo andalusa.  ma questo è il norte profundo e la rigida Castilla & Leon col suo gotico fiammeggiante è a pochi decine di chilometri di distanza.  arrivo nella città vecchia e al museo di S. Telmo, una via di mezzo fra convento antico e installazione moderna con pannelli d'ardesia bucati.  come al solito, gli spagnoli sono spavaldamente estrosi e riempiono le città delle loro sperimentazioni cultural-urbanistiche che spesso gli portano fortuna.


a questo punto sono a pochi passi della terza spiaggia della città, Zurriola, e me la sbobino tutta da cima in fondo.  per raggiungerla devo camminare lungo l'Urumea, che in basco "semplicemente" si chiama Urumea Itsansadarra (!).  per la prima volta mi viene in mente che a suo modo questa città è come Sydney, con spazi dilatati, un mare potente, le onde che s'infrangono sui blocchi posti a protezione della costa, luce e oceano a profusione.  se ci penso poi, è la seconda volta che l'accosto alla meraviglia del New South Wales dato che già avevo alluso a una celebre spiaggia a mezzaluna.  Non faccio a tempo a superare il modernissimo e squadrato Kruskal, a pareti continue di rame verde ondulate, che Sydney me la ritrovo davanti nei pettorali esibiti dei surfisti della Zurriola.  qui come là, stanno a mollo per ore in attesa dell'onda giusta, non ci posso credere: è ancora presto e ci sono solo loro, assieme a un gran numero di ciclisti e gente che fa footing.  anche quando mi addentro in città vedi surfisti figoni e scalzi, con la muta arrotolata e a torso nudo, che camminano portandosi la tavola verso la playa.  sono le 10.00 passate e mi fermo a Hogar Dulce Hogar, il cameriere è uno di loro, bicipiti da invidia e biondo come un californiano.  anche loro dovranno guadagnarsi da vivere, no? un cortado e "algo de dulce pequeno".  mi propone una "magdalena" o una "rostilla" e io vado sulla prima che mi suona più nota.  capisco che non farò mai più colazione in albergo, ci sono decine di posti in cui posso avere di tutto e guardo, sognando grandi imprese per l'indomani, tostade con hamon, tomate, mantequilla, marmelada e donuts caseros di ogni foggia.  mi sovviene che su Time Out hanno segnalato la pasteleria Geltoki, Easo 61: non è poca strada ma Cesira mi ha cambiato e una città sin dulce non vale la pena (i lettori attenti o simpaticamente maniaco-compulsivi noteranno la citazione...)  cammina cammina mi dirigo verso il quartiere di Amara alla caccia di Geltoki: voglio sapere se domani domenica è aperta e a che ora mi servono un cortado o due, di mattina melium semper abundare quam deficere.  visto che ci sono, osservo che di gente che cammina qui ce n'è tonnellate e de repente ricordo che "camino" qui vuol dire di più che camminare. "camino" qui non è una parola, è una processsione ininterrotta, qui tutti vanno a Santiago, zaino in spalla e scarponcini.  davanti a me una signorina appena appena sdrucita mette in bella mostra la sua concia sullo zaino, è arrivata al mare e si è guadagnata la compostela.  ho anche letto che Campus Stellae era il posto dove le stelle si sono messe a danzare (si!)  per indicare che là era dove si doveva seppellire S Giacomo.  è o non è una bella storia?  in quel luogo è nata la cattedrale cui tendono migliaia di camminatori che solcano in lungo e in largo questa parte del tragitto "francese".


hombre, un passo dopo l'altro sono arrivato da Geltoki e da una finestra chiedo alla signora che sta infornando non so che ben di Dio a che ora aprono domani: 7.30, "muchas gracias".  mi sento veramente fortunato: non è per nulla ovvio nella penisola iberica ma ho trovato un posto in cui un desayuno da sballo lo trovo anche de madrugada.  un cerchio si chiude e domani, all'alba, Geltoki è nel mirino.  con un minimo d'organizzazione sarò poi puntualissimo alle 9.30 all'EMS Council 2014, nemmeno fossi la signora alabardata di Samarcanda.
El Peine del Viento: Eduardo Chillida e la sua opera su mare, terra e vento.


Valeva la pena portare pazienza con Donostia?  si, e per un attimo mi dico che dovrei essere più tollerante anche con l'umanità variada che di tanto in tanto mi ammorba l'esistenza.  ma bando ai sentimentalismi  (veramente, mi sono metalmente dato del mona) e torniamo sull'argomento: gran bella città, urban (adjective, in inglese) e spiaggiata, moderna e gotica, pulita, ordinata, bellunese dentro e fuori, piste ciclabili dappertutto, con una lingua piena di k e z, via si dice "Kalea", metà delle scritte sono impronunciabili, ma tutti parlano in uno spagnolo semplice e piano, solo senza le esshse toreate dell'amata Andalucia.  concludo le mie quattro ore di cammino ininterrotto, prima di andare a lavorare, con la salita in Funikolar al monte Iguelde da cui hai una vista sinuosa d'onde e metropoli che ti ruba il respiro.




Sunday, April 13, 2014

Hai perso il portafogli e la posta non funziona? Non è poi male!

Scrivo per ricordarmi di due piccoli eventi che si sono venati di altri significati, come credo succeda di tanto in tanto non solo a me, e si sollevano al rango di esempi se non di simboli.

Giovedi scorso perdo il portafogli, o me lo fregano, in realtà è lo stesso. Si, in un caso avrei la scusa per fare una tirata e incolpare i ladri farabutti, "tenetevi i 35 euro ma che cosa ve ne fate dei miei documenti...?'"; nell'altro dovrei esternare lo sdegno per quanto sbadato sono a tenere il portafogli in una tasca poco profonda, in Veneto abbiamo il neologismo giusto: "mona". Ma la storia è solo all'inizio e, appunto, sarebbe lo stesso.

Ogni giorno arrivano vagonate di notizie deprimenti: aumentano le tasse, diminuiscono i servizi, i treni con l'orario cadenzato non sono più quelli dei tempi del Duce, il rettore CC di CF ha asfissiato la democrazia interna, Berlusconi dice che anche la democrazia esterna è una dittatura dei giudici, gli studenti non sanno più una mazza, i politici non ce li meritiamo... mi fermo, dato che spero di avere reso l'idea. A volte ho l'impressione di non dover nemmeno più chiedere "come stai?" per non dare la possibilità a chi mi risponde di dire "bene, grazie", se è stato tirato su in una buona famiglia, proseguendo poi con la sua carriolata di recriminazioni. Io stesso non riesco ad arginare questa tracimazione di risentimento e troppo spesso mi abbandono a troppe lamentele. Ok, non sono tempi facili ma è possibile che non ce ne vada bene una? Ecco, lo strano caso del portafogli disperso mi sussurra una cosa diversa: le cose funzionano eccome e un potenziale disastro (di documenti, dati personali, carte di debito e credito e chissà che altro) è finito così: giovedi sera, tre ore dopo il fattaccio, mi reco con Cesira alle 21.00 alla polizia ferroviaria di Treviso, con la speranza che abbiano ritrovato il maltolto nella stazione d'arrivo del treno.


I tre poliziotti hanno un look un po' sgangherato, calvizie quà e là, accenti strani, non sono degli adoni e la diffidenza di Cesira è inesorabile quanto genericamente indirizzata alle forze dell'ordine. Eppure, con la loro "anda" si mettono in moto: uno telefona a Conegliano, uno al registro delle patenti, l'altro dà sostegno morale ai colleghi. Il portafogli non si trova sul treno che dorme a Conegliano in attesa della corsa del giorno dopo, amen. Il computer del secondo è gia aperto sulla denuncia di scomparsa: "Io sottoscritto nato a dichiaro di aver smarrito un portafogli di pelle nera contenente..." Io gli avevo detto "vecchio portafogli" ma lui non lo ha scritto, "con 35 euro, imob e altre cose di poco conto". Bella sintesi. Arriva il numero della patente, attacca a pestare sui tasti di una tastiera stremata ma funzionante, clic-cloc-clic per compilare il foglio che sostituisce la patente. Alle 21.29 esco con la denuncia in mano e in grado di guidare nuovamente. Non saranno stati la delta force (in apparenza) ma hanno sfornato due carte, consultato i database e dato una mano in poco più di 20 minuti. È tutto merito del terzo che dava sostegno: io so (e voi pure) che se vi guardano mentre lavorate siamo costretti a fare presto e bene. Non scherzo più: non posso dire che sono fiero di loro, perché la mia consorte mi farebbe dormire sotto un ponte, ma tanto di chapeau!

Con la denuncia in mano, blocco la carta di credito e il bancomat, sacramentando al pensiero che in 10 giorni devo fare un viaggio e dovrei prenotare un albergo via internet. Mi chiedo come diavolo farò e mi predispongo mentalmente a rientrare nella preistoria: agenzia di viaggio (!), telefonate, email, bonifici. Non ci posso credere ma me lo merito.  So che le carte non arriveranno mai in tempo: quelli di CartaSi mi hanno detto che servono 7 giorni lavorativi e tutti sappiamo che mentono per indorare la pillola, i ritardi sono endemici, le poste non funzionano nemmeno quelle come ai tempi del Duce. E invece, i pin (solo questi) arrivano dopo due giorni due, la carta mi raggiunge nella sua bella assicurata convenzionale in giorni 4, basta una firma sul blocco della mia efficientissima super postina Annalisa e sono incartato nuovamente. Il bancomat ce la fa in 5 giorni lavorativi netti. Sogno o son desto? In 5 giorni è tutto a posto? Avevano detto sette e mi sento spaesato sia perché due giorni sono un'eternità di vantaggio ma anche perché tutte le mie fosche previsioni erano cazzate. Può succedere, a me, a voi, che perdiate il portafogli e che 5 giorni dopo praticamente sia tutto eguale: zero fastidi, 5 euro di foto e 5 di spese per la carta d'identità nuova, 35 euro sputtanati ma a parte questo zero rogne. Il mio portafogli di pelle nera (nuovo!) giace giulivo in una tasca profonda e munita di cerniera antiproiettile con password. Vedete, ho tratto le mie conclusioni esistenziali da 4 soldi: questa è una metafora e se ce la facciamo in un caso come questo, intriso di denuncie, richieste, spedizioni e autorizzazioni, vuol proprio dire che dovremmo tenere sempre la giusta distanza e che lo spleen che avvolge le nostre vite dovrebbe dissiparsi. Mi avviso da solo: mi è andata anche troppo bene,non prenderci gusto!

Il secondo evento, nella mia mente intorta, presenta notevoli somiglianze con il caso del portafogli perduto. Nella serata del 7 aprile, la posta elettronica comincia a non funzionare dicendo che non riconosce la password. Ma ormai è sera, vado a letto convinto che sua maestà gmail, di sua divinità Google, non avrà problemi il giorno dopo. Non è mica un servizio fornito da rieseproduce.it, ci mancherebbe altro che Google non aggiusti in pochi minuti/ore un servizio, per non sollevare le proteste di migliaia di utenti paganti (ehm...)  Il giorno dopo la posta non va proprio, altro che ai tempi del Duce, inchiodata, e gmail riconosce la password del mio Thunderbird né più né meno di mia sorella. Io m'innervosisco sempre più, sparo qualche tweet indignato e vedo che retwettano subito. Cerco sulla rete e vedo che siamo in tanti ad essere inchiodati, privati, ditte, piove sui giusti e sugli ingiusti. Diventa una marea montante alle 15.00 quando si svegliano gli americani senza la loro bella gmail. Pare che l'unica soluzione sia riscaricare tutta la posta e nel mio caso sono migliaia di messaggi dal 2006 in poi. Tutti? Yes baby, tutti dal primo all'ultimo ma per non sovraccaricare i server te li danno a pacchetti di 100-200 a volta e si rischia di metterci mezza giornata. Anche i server hanno sorelle-server? Vacilla quasi la mia granitica convinzione che Google sia buono, gmail sia perfetta e che sia la comunità degli utenti a risolvere i problemi quando ci sono, come accade da sempre nel mondo open-source. Ogni tanto qualcuno prova a dirmi di comprare software e servizi privati perché, dice lui, se hai un problema ti danno assistenza. Si, come quando telefoni al numero verde della telecom, stessa assistenza! Ho sempre preferito cercare nei forum e una soluzione è sempre saltata fuori. In verità questo è l'apice dello scoramento ma verso le 15.30 compare un messaggio di un tale chris_marino, in un forum in cui mi sono iscritto: cazzarola, ha trovato una soluzione che trascrivo per gli annali (gli errori sono originali):

There is a workaround. You can set this in the config editor:
mail.server.default.authMethod to 2
or
mail.server.serverX.authMethod to 2
serverX  where X is a number coresponding to the account created internaly.

per fare la modifica mi tocca studiare su un paio di altre pagine esoteriche che cosa cavolo vuol dire ma aggiusto il config di Thunderbird e la mia posta docilmente riprende a funzionare come un pallettone. chris_marino, ma chi sei?



Un paio di ore dopo anche quelli di Google, punti nel vivo, risolvono e dicono che non serve il workaround di Chris ma io continuerò per gratitudine a scaricare la mia posta in the "Marino way" per sempre, con l'authMethod a 2. La morale è sempre quella: un potenziale disastro risolto in qualche ora da un gruppo di utenti un po' geeks, forse freaks, che non si conoscono fra di loro, collegati da una pagina di googleproductforums.com in cui un chris_marino a furia di ravanare assieme a tutti gli altri trova la soluzione. Mi ci metto dentro anche io col mio centesimo, dato che ho postato un paio di boiate spiegando che la posta non funzionava nemmeno su vecchi Mac con Eudora: noi utenti abbiamo risolto il problema prima degli ingeneri di Google e lo sconosciuto chris_marino è il nostro Messi (no, non messiah, Barcelona FC!).

Friday, February 07, 2014

De-Scrivere la crisi

Una locandina glamour si fa largo fra le altre appese a dozzine sulle bacheche in università.  Guardo meglio e mi accorgo che la tipa dipinta in short su sfondo blu ha una gamba di legno, a mo' di pirata con tante battaglie alle spalle, in alto poi c'è scritto "Greece next economic model".  Ok, ce n'è che basta per farmi leggere per benino: è il mio incontro col convegno "De-Scrivere la crisi: narrazioni dell'Europa presente", organizzato dai colleghi del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati il 30 e 31 gennaio.


La crisi, e io pensavo prevalentemente a quella finanziaria, non l'abbiamo mica capita, né tanto né poco: ci sono letteralmente decine di storie che girano sui colpevoli, sui semi che l'hanno generata ("semo" in veneto ha semantica variegata ed appropriata...), sulla miopia politica che non l'ha fermata e sulle mancanze di coraggio (e attributi) che hanno consentito che durasse per anni, dal 2007 circa al 2104 e chissà quanto altro.  Questa circostanza mi ha sempre colpito: se gli economisti, di fronte a questo bagno di sangue, non hanno coagulato nessun pensiero o argomento condiviso e coerente, che cosa ci pagano a fare?  È evidente che finché una cosa non la capisci hai pochi mezzi per evitarla o per porci rimedio, ti resta solo fra capo e collo finché, bontà sua, non passa.  Non è un quadretto rassicurante.

Volevo sentire cosa avevano da dire dei colleghi "letterati", diciamo che ero curioso di sapere che storie avevano in serbo loro sulle contorsioni della crisi odierna, pensando che di narrazioni se ne intendono di sicuro più di me. In due giornate di pioggia battente e acqua alta gagliarda, decido quindi di andare a Ca' Bernardo, strepitoso palazzo con vista sul canal grande, di fronte a Palazzo Grassi (in omaggio al vil denaro, un rettore di passaggio lo venderà per farne un albergo. Ma questa è un'altra storia).

Ho trovato le narrazioni di "De-Scrivere la crisi" enormemente interessanti e tutte molto diverse dalle storie a sfondo economico che avevo annusato qua e là.  Il focus non era su finanza, regolamentazione e macroeconomia, molti relatori hanno descritto come artisti e opinioni pubbliche abbiano percepito la crisi con straniamento, come una rottura del legame fortissimo che lega il lavoro, perso, al senso della vita e alla speranza di progresso.  Uno dei (pochi?)  messaggi trasmessi su vasta scala era ed è "keep calm and carry on", anche in Italia in fondo non abbiamo fatto altro che comprare tempo.  Magari, vista la coriandolizzazione della nostra politica e la rarefazione di idee e ideali praticabili, non c'era altro da fare.  Wait and see, tutte le recessioni prima o dopo passano...

Alcune immagini le possono scovare solo i letterati (o economisti più colti di me): il toro di borsa (bull) è stato paragonato al minotauro che divora i suoi figli.  In fondo è proprio così per tutte le bolle e qualche Grecia incombe sempre tragicamente su di noi, ora come allora.  Mentre io ero abituato a cercare nei modelli concretezza e il supporto di dati empirici, ho sentito invece parlare di "massicce iniezioni di individualismo" che hanno svuotato le persone di qualsiasi identità collettiva che consentisse di arginare lo sfacelo a livello di comunità.  Scrivo queste cose perché mi sono sentito sotto shock, uno che fa modelli che spiegano si e no un francobollo e quindi non spiegano proprio nulla.  I modelli di noi economisti mi sono veramente sembrati armi di distrazione di massa, piccoli calimeri in un oceano di cause di lungo periodo che solo i sociologhi, storici e artisti intuiscono, ricostruiscono e percepiscono sottopelle.  Ho sentito parlare di modelli di integrazione europea, di un visionario Sicco Mansholt e di un Barroso affetto da nanismo intellettuale, di austerity vestita retoricamnete da "fare i compiti per casa", dell'Islanda del "fokking fokk", di Polanyian disembedding, di capitalismo estrattivo, del fantasma delle sovranità nazionali...

Prima che pensiate che, folgorato, sono caduto da cavallo devo ammettere che il convegno mi ha allargato i neuroni e fatto balenare in mente modelli altri, nutriti dalla giusta distanza dai numeri della statistica ufficiale e dei think-tank.  Forse di modelli della crisi ne potremmo e dovremmo fare di differenti, almeno fino a quando non ci sarà una qualche storia, pardon narrazione, condivisa e non sapremo come va a finire.  Come spesso accade sembra però materia per gli storici, da distillare nei decenni che verranno.  Chiudo con un desiderio suscitato da "De-Scrivere la crisi": leggere "Furore" di Steinbeck che pare essere la summa della madre di tutte le crisi, quella del '29.

Sunday, January 26, 2014

Cena dei ossi de mas'cio

La "cena dei ossi de mas'cio" ci aspetta nella serata del 16 gennaio a Lonigo, invitati da Angelo a quella che è una tradizione molto vicentina.  A dir la verità, non è che noi nati a Riese Pio X siamo cittadini "di dentro le mura" e ci vantiamo della nostra esperienza di Veneto profondo.  Ma la profondità è sempre diversa e dipende enormemente dal contesto locale.  Alla cena ho avuto l'impressione di essere quasi ritornato all'essenza di quel Veneto che fu, un viaggio in un mondo simile al mio e di cui riconosco immediatamente le radici e l'eredità ma forse antico e ancora più lontano di quello che porto nei ricordi.  Ma bando alle sociologie e avanti con la cena!

In realtà andiamo a S. Bonifacio, sconfinando in provincia di Verona, percorrendo quasi 15 km di strade di campagna strette e dritte, frenando ogni volta che s'incrocia un'altra vettura, in una nebbia padana bagnata e minacciosa, ma comunque non ancora densa da taiar col corteo e da farti maledire il viaggio.  S. Bonifacio, pare impossibile, mi dice qualcosa: è o era la sede di una squadra di basket che si scontrava col Pedrini Basket a Castelfranco negli anni eroici in cui il palazzetto traboccava di passione.  Arriviamo al "Caffé da Poci", locanda vecchio stampo in casa anni '60, (potete anche vedere la "strit viu").
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Il titolare mi dice un "Buonaseera" che mi suona esoticamente vicentino con quella "e" aperta e lunga.  L'arredamento è semplice, fòrmica e cabina telefonica con gli elenchi ancora in bella vista: avrei dovuto controllare se era ancora possibile in quest'era di smartphone, wifi e bluetooth chiedere al propietario dietro al bancone: "mi dà la linea, per favore?".  Un corridoio con molti attaccapanni a muro ci porta nella sala, che ricorda quella del Miravalle di Stabie in comune di Lentiai, altro posto che di nord se n'intende.  So che il paragone potrebbe non dirvi molto ma, primo, il blog lo scrivo anche per me e, secondo, fate uno sforzino e immaginatevi una trattoria all'antica, tovaglie bianche, tavoli dritti e sedie come quelle delle cucine di una volta, quadri e stampe alle pareti, lampadari senza fronzoli che ora montano luci bianche a basso consumo.  Non ho grande materiale fotografico da mostrarvi ma vi squaderno quello che ho fatto con il mio cellulare, più che altro un cimelio, scattando qualche foto a bassa definizione (non è che avessi scelta, 2 megapixel e amen).


Angelo ci guida in cucina e ci fa conoscere chi ci ospita: il propietario e la signora sono sui 60 anni, c'è la nonna che ad occhio sfiora gli 80 e i due figli, un maschio e una femmina, intorno ai 40.  Un buon odore di brodo ci avvolge e osservo con soddisfazione l'acciaio della cucina industriale: non sarà romantico ma una bella cucina ampia e funzionale mi mette sempre di buon umore e gronda professionalità.  La marmitta dove da 3 ore stanno bollendo gli ossi è enorme, poi la signora ci descrive il resto: riso coe verze (una minestra di riso insaporito dalle verze), pearada (salsa al pepe ottenuta addensando il midollo delle ossa con ore e ore di cottura), contorni solidi, verze, patate, fagioli e "le radici".  Io subito penso ai quello che i trevigiani chiamano "i radici", al maschile, radicchio, ma si tratta di tuberi amari perfetti per "rasentar" la bocca quando mangi carne e bolliti.  Non manca il musetto e le zuppiere di mostarda vicentina (chiaro!)  fatta in casa.  Uscendo dalla cucina per tornare in sala, vedo nell'altra stanza una pila ordinata di secchi di plastica bianca, come quelli che contengono la pittura e che sono riutilizzati per anni in ogni casa di campagna.  I secchi sono puliti e ordinati, completamente bianchi e senza tracce di scritte o etichette.

La cena ha inizio, annaffiata da Bonarda Zonin portata da Angelo e dal vino della casa, un cabernet (molto) franc sfuso.  Non c'è storia, la Bonarda è meglio e tutta la famiglia "Poci" inizia a servire ai 30 presenti il riso coe verze.  O siete inappetenti o sull'impervia via dell'anoressia oppure dovreste avere l'aquilina in bocca!  La minestra è ottima e poi arrivano i secchi di plastica.  Cosa, direte voi?  Si, un secchio è collocato per terra fra ogni due persone.  Ha la funzione di consentirti di mangiarti gli ossi senza gran formalità: attacchi un osso alla caccia della carne rimasta quà e là, facilitato dalla sapiente bollitura di ore.  Molti, finemente, continuano ad usare forchetta e coltello.  Io resisto per il primo osso, vacillo sul secondo e dopo un "ma va in mona" mentale passo alle mani!  Qualsiasi sia il metodo usato, prima mangi e poi getti l'osso spolpato nel secchio per lasciare lo spazio al resto sul piatto.  Una meraviglia di efficacia e di sapori.  Il carrello coi coi contorni e il cren passa a ripetizione, arrivano vari vassoi di ossi (l'avete vista l'allitterazione, no?), rosicchio felice e butto nel secchio, toc!  Alla fine passano anche con una fetta di musetto e, chi mi conosce lo sa, non ci sono storie e ne chiedo due.

Ecco, forse non c'è bisogno d'altro, la carne è debole and the post is over.  Vi auguro di passarci, mi hanno detto che se ordinate prima per una decina di persone vi preparano gli ossi (in effetti, non si può bollire ossi per tre ore a la carte...).  "Poci" è in Via S. Sebastiano, 51, Cologna veneta Verona, Italy +39 0442 85006.  Pubblicità progresso: io ho bevuto il secondo e ultimo mezzo bicchiere di Bonarda alle 21.30, sapevo di dover guidare, czzrla!  Prima di partire alle 22.30 per tornare a casa mi sono anche bevuto due espressi per poter solcare bello sveglio la pianura padana.  Non ho più l'età e mi sono anche fatto il resto della notte in bianco...  ma ne valeva la pena!